Capire l’esposizione
Dal video di Michele Vacchiano : https://www.youtube.com/watch?v=s5T1b8NE2ko&list=PLErieNeE4veJu2olCGSJCSMR2f5-gdT-Y
Michele Vacchiano è nato a Torino nel 1951.
Fotografo e scrittore, ha al suo attivo numerose pubblicazioni; la formazione e la diffusione della cultura fotografica hanno sempre rappresentato un aspetto importante della sua attività.
Attualmente organizza corsi e workshop destinati tanto ai principianti quanto ai fotografi esperti.
Le sue immagini sono state esposte in occasione di mostre personali e collettive, sia in Italia che all’estero. E’ fra i primi fotografi italiani ad avere ottenuto la certificazione IMQ come professionista in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa UNI.
Sito web: https://www.michelevacchiano.com/
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L’esposizione del sensore di una macchina fotografica digitale alla luce che lo illumina è regolata da due dispositivi: l’otturatore e il diaframma. L’otturatore è un dispositivo interno al corpo macchina ed è formato da due lamelle che scorrono appaiate.
In un otturatore a tendina come questo il tempo di esposizione non è determinato tanto dal tempo di apertura delle due lamelle quanto dalla larghezza della fessura che lascia passare la luce e che scorre al di sopra del sensore, cioè in pratica è determinata dal ritardo con cui si muove la seconda lamella rispetto alla prima.
Se il tempo impostato è molto lungo la fessura è molto ampia, mentre se il tempo impostato è molto breve, la fessura è molto stretta.
Il diaframma è costituito da un insieme di lamelle come nella figura seguente che regolano il diametro del foro, attraverso cui deve passare la luce.
Regolando il diaframma, il fotografo decide la quantità di luce che arriva sul sensore, mentre regolando il tempo di scatto il fotografo decide per quanto tempo ci arriva.
L’esposizione giusta può essere ottenuta facendo passare tanta luce per poco tempo, o poca luce per un tempo lungo.
Tempo e apertura del diaframma sono regolati dalla legge di reciprocità:
secondo la formula: Esposizione = Diafr. x Tempo.
Il diaframma regola anche la profondità di campo, cioè la distanza davanti e dietro al soggetto in cui gli oggetti sono percepiti come nitidi dall’occhio umano e quindi dal sensore. Ad un diaframma più aperto corrisponde una profondità di campo minore:
mentre ad un diaframma più chiuso una profondità di campo maggiore:
La coppia tempo – diaframma corretta viene regolata misurando con un esposimetro la luce riflessa dal soggetto o emessa dalla fonte di luce.
Nelle macchine costruite dagli sessanta in poi l’esposimetro è interno alla macchina e nelle macchine digitali i valori del tempo e del diaframma possono essere letti nel display della macchina.
Gli esposimetri attuali delle macchine fotografiche garantiscono una risposta immediata rispetto a variazioni della luce incidente: essi leggono la luce riflessa dal soggetto dopo aver attraversato le lenti dell’obiettivo.
[N.B. In tutti casi che menzioneremo nella discussione seguente si sottintende che la misurazione dell’esposizione si faccia in modalità manuale, che rende liberi di variare sia il tempo che il diaframma.]
Gli esposimetri, sia interni alle macchine che esterni come strumenti a sé stanti, sono tarati per leggere come esposizione media quella corrispondente alla luce riflessa dal cartoncino grigio medio (zona V del Sistema Zonale). Il sistema zonale suddivide la scala tonale in undici zone (da 0 corrispondente al nero assoluto a X corrispondente al bianco assoluto.
Quindi, se le tonalità presenti nell’immagine non corrispondono nella loro globalità alla scala zonale classica l’esposimetro sarà tratto in inganno perché il valore medio che legge corrisponde in realtà ad una zona più chiara o eventualmente più scura del grigio medio. Nel primo caso tenderà a sottoesporre le parti chiare e nel secondo caso tenderà a sovraesporre le parti scure dell’immagine.
Fortunatamente ce ne possiamo rendere conto osservando l’istogramma.
Questo fatto spiega perché molto spesso fotografando la neve, questa apparirà leggermente grigiastra: l’esposimetro vede una vasta area luminosa e suggerisce un tempo più breve del dovuto e/o un diaframma più chiuso.
Per questo, quando si fotografano zone molto chiare bisogna sovraesporre un po’ aprendo il diaframma di uno stop o talvolta anche più.
In tutti questi casi l’istogramma suggerisce cosa bisogna fare intenzionalmente per avere una foto correttamente esposta almeno nell’area che ci interessa di più.
La pelle caucasica (la pelle bianca dei paesi europei) cade nella zona 6, cioè è più chiara di un tono rispetto al grigio medio, e quindi, fotografando una modella è meglio incrementare di uno stop, a meno di non volere risultati particolari.
Anche il controluce inganna l’esposimetro rendendo la sua risposta completamente inattendibile, soprattutto se nell’inquadratura entrano anche sorgenti di luce. Spesso si ottiene una silhouette scura anche se questo non è il risultato che volevamo ottenere: bisogna misurare la luce sulla parte in ombra del soggetto, rivolta verso la macchina fotografica, oppure sul cartoncino grigio medio per avere l’esposizione media corretta. Nel primo caso la parte “scura” verrà esposta correttamente a discapito di tutto il resto, mentre nel secondo caso avremo una lettura della luce mediamente corretta anche se le tonalità più scure potranno essere sottoesposte e quelle chiare potranno essere sovraesposte.
Da questo discorso emerge abbastanza chiaramente il concetto che la corretta esposizione intesa in senso assoluto non esiste. Questo perché lo stesso soggetto può essere letto in modo diverso: possiamo avere come riferimento il grigio medio oppure le ombre oppure le luci: la quantità di luce che arriva sul sensore può essere intenzionalmente aumentata o diminuita.
La domanda che il fotografo si deve porre non è quindi qual è l’esposizione giusta ma qual è l’elemento che voglio che appaia correttamente esposto oppure con parole più tecniche dove voglio che sia posto il grigio medio.
Nella figura sottostante la zona V, per come è impostata la fotografia, si trova nel lastricato in basso, ma potrei metterla nel verde del fogliame sovraesponendo un po’ oppure nella schiena della statua sovraesponendo molto.
Si deve ricordare infine che fotografando con macchine digitali non bisogna mai andare verso la sottoesposizione (come si faceva nelle macchine “analogiche” per saturare un po’ di più) ma è più conveniente sovraesporre un po’ per limitare il rumore digitale nelle aree scure: questo si condensa nell’espressione “expose to the right” dovuta al fatto che la sovraesposizione tende a spostare verso destra (verso le luci) l’istogramma della foto.
Questo è dovuto al fatto che i pixel del sensore “lavorano” meglio e danno valori di intensità elettrica e quindi di intensità luminosa tanto più corretta quanto più sono illuminati durante l’esposizione.
In sede di post produzione della foto non sarà difficile recuperare le corrette tonalità.
L’articolo è stato desunto dal video sopracitato a cura della redazione del sito web https://photocufi.it, con l’approvazione e la revisione dell’Autore